dal 22 al 30 marzo 2010 milano ospita la terza edizione di (con)temporary art / all’interno di questa rassegna d’arte contemporanea spicca BANKSY – FIGHT FOR ART mostra $pon$orizzata da iulm “comunicazione per il mercato [mercato!] dell’arte”
l’applauso di pubblico e critica per le opere di banksy è ovvio / anche se quasi tutti – curatori compresi – si ostinano a chiamarlo banSKy e a nessun visitatore del (con)temporary art sembra baluginare un pensiero tipo «Ehi, un momento… Cosa ci fanno le opere di Banksy qui?! Non dovrebbe restare lontano da tutti quegli ambiti “ufficiali” (gallery–musei–etc.) che in qualche modo mercificano l’arte trasformandola in una semplice prassi consumistica?»
sia chiaro: stilisticamente banksy resta un grande / si è però calato le braghe di fronte a quello stesso sistema contro il quale finge di combattere / se c’è una cosa bella (e rivoluzionaria) della street-art è il suo realizzarsi direttamente in strada rifiutando completamente qualsiasi contatto con gli ambiti marchettari della “cultura istituzionalizzata” / e invece a banksy cos’è successo? la sua compromissione col mercato dell’arte potrebbe essere motivata dal tentativo di sottrarsi all’incubo del lavoro (o della disoccupazione) / un cedimento alla lusinga della celebrità sembra meno probabile / comunque banksy avrebbe almeno potuto autogestirsi completamente nella vendita delle sue opere anziché appoggiarsi alle gallery che vivono di business e trasformano in pattume da salotto tutto ciò che toccano / avrebbe anche potuto spiegare apertamente sul suo sito internet eventuali necessità di sostentamento anziché tentare di negare tutto scrivendo che “Banksy is not represented by any form of commercial art gallery”
sulla stessa pagina web c’è anke l’invito “Please send comments, complaints and queries” così gli è stato fatto notare che poiché lazarides o andipa gallery vendono sue creazioni non sembra poi così vero che egli non sia rappresentato da nessuna forma di commercial art gallery / la risposta evasiva e indiretta di banksy è stata la correzione di quanto scritto in precedenza sul suo sito / la frase è quindi diventata: “He is not represented by any of the commercial galleries that sell his work second hand (including Lazarides Ltd, Andipa Gallery, Bank Robber, Dreweatts etc)” / resta invece senza alcuna risposta la domanda a proposito di come fottute rockstar o calciatori supermiliardari abbiano in casa pezzi di creatività banksyana – dove li hanno trovati? chi glieli ha venduti? mah…
ci sarebbero stati per banksy altri modi di autofinanziarsi senza compromettersi con esposizioni ufficiali nei musei e poco dignitosi canali di mercificazione dell’arte / gli sarebbe al limite bastata una minima gestione di quel merchandising che ha invece lasciato completamente in mano ai produttori di gadgets da bancarella / forse banksy crede che sia possibile entrare nel sistema e continuare a combatterlo dall’interno / se fosse così banksy non avrebbe capito che usare gli strumenti del nemico finisce inesorabilmente per compromettere la tattica / se entri nel consumismo smetti di essere un antidoto al consumismo stesso
banksy può continuare a divertirci con la manomissione umoristica dell’immaginario comune / può continuare a sbeffeggiare il sistema con cortocircuitazioni del simbolico fatte di segnaletiche modificate – loghi e messaggi alterati – arredi cittadini rivisitati in chiave surreale – cartelloni pubblicitari oltraggiati – muri grigi abbelliti con stencil poster sticker o colori a mano libera / ma bisogna prendere atto che ormai banksy è lontano da quella concezione dell’arte intesa unicamente come tenace elusione del compromesso e sincero amore per il proprio mezzo senza che nessuna ricerca del successo personale o di qualsiasi forma di mercificazione la vada a inquinare
“La street-art nasce per togliere l’arte dai salotti di nobili e borghesi per restituirla al popolo, se ti fai comandare dalle istituzioni e queste organizzano visite guidate e a pagamento per le tue opere, tradisci i principi originari. E’ da questo che nasce il sempre più frequente dissenso nei confronti della street-art non degli street-artist, perchè quest’arte deve continuare a restare dal basso per il basso”
Aladin Hussain Al Baraduni